Lourdes

Le piscine di Lourdes sono silenzio e umanità. Tutta l’umanità trascina il proprio credo uguale e differente e scende china a bagnarsi, lasciando gli abiti, venendo avanti piccola e trepidante…

Il miracoloso senso della nudità riempie le piscine e la nudità si disseta nella preghiera. Forse è quello che tratteniamo da qualche parte nei sogni, ombra buona della nostra vita prenatale.

Le piscine sono silenzio e umanità. Tutta l’umanità trascina il proprio credo uguale e differente e scende china a bagnarsi, lasciando gli abiti, venendo avanti piccola e trepidante, salendo i primi due gradini da sola, fino al terzo, dove ci porgono le mani. Io rimango qui, sul bordo, allungo la mano, guardo il mio compagno dal lato opposto. Si chiama Gerard, so solo quello; lui sa di me il mio nome e mi guarda e sorride. Non abbiamo mai sentito le nostre due voci. Fuori da qui non lo riconoscerò, ma ricorderò la sua presenza come parte di un tutto misterioso.

L’umanità malata si fida di noi. Ci sono i Cristiani, gli atei, i miserabili, gli indecisi, i preziosi; si riconoscono quelli che hanno riconsegnato la fede più di quelli che la custodiscono al riparo. Ma gli abiti sono fuori con le scarpe e i mezzi di locomozione. Qui si viene sempre con le gambe – siano le nostre o le loro, non ha importanza – e lasciati i vestiti. Non credo che in questo luogo l’umanità covi chissà quale speranza. La speranza fa luce, ma la luce dei nostri occhi è diversa: è una luce lontana, più antica, il silenzio che brilla come un abito nuovo, che era piegato in un luogo a parte.

Io e Gerard accompagniamo nell’acqua. Distendiamo per pochi istanti la persona nella piscina, solo quando lo desidera e fa lei il primo passo. Pochi istanti perché l’acqua di Lourdes è così come nasce – fredda – e sempre quella. Chi crede in un’acqua esoterica dai poteri terapeutici resti pure deluso. Sgorga semplicemente dalla terra, bagna, ha un ottimo sapore, si sporca, evapora, bolle a 100°C se scaldata. Non ha potere in quantità misurabile come non è misurabile la mitezza di un gesto né la trasparenza di un pensiero. Anche noi che accompagniamo in piscina siamo trasparenti, vogliamo essere solo due mani e un sussurro. Non abbiamo nomi da sigillare sui corpi nudi di quell’umanità che si affaccia sulla pietra grigia, scostando la tenda, né riconosceremo qualcuno fuori di qui, sul prato dove la gente canta e passeggia, tuttavia ognuno ricorda chi lo ha immerso e noi ricorderemo la persona che abbiamo incontrato, immagini belle e tristi, qualcuna appesantita dall’inquietudine per un prodigio che non arriverà, perché Dio non toglie il male, ma lo sopporta insieme a noi. Però ci intristiamo anche noi ombre, con le nostre inutili mani bagnate, quando l’amarezza ribolle negli occhi dell’umanità.

Ogni uomo nell’acqua è la metamorfosi di uno sguardo. Trema per il contatto e immagino un rapido alone al neon, verde non so perché, che passa dai piedi ai capelli, da cima a fondo, senza produrre fotocopie ma incitando all’intuizione, poi la cosa è compiuta e lo alziamo in fretta, accompagnandolo indietro perché non scivoli. Arriva un anziano che severamente prega per la Francia e parla tanto, rivolto alla Madonna, quindi scruta anche noi, cercando conferma, ed io da ombra che sono riprendo nome e provo vergogna. Caliamo diverse barelle e quegli uomini sono pieni di sguardi immobili, vedono tutto, hanno occhi che faccio fatica a sostenere. Entra un’intera famiglia di Irlandesi, due fratelli coi loro figli, è un momento di festa, ci stringono la mano, e i papà prendono il mio posto e quello di Gerard e immergono i loro ragazzi, tutta la gioia si condensa lì per un istante, tutto va bene, anche noi siamo un pezzetto di quella famiglia spirituale.

Quando finisce il turno le braccia fanno male e le squadre si sciolgono. Ci diamo la mano e uscendo non lavoreremo più insieme. Non che sia una regola: è solo l’effetto del caso quando sono tanti gli operai. Consegno la divisa e il grembiule blu coi ricami rossi. Non mi commuovo mai perché non ho ancora ben compreso come siamo fatti, che sono le cose piccole che commuovono, quelle grandi che fanno disperare, mentre la testimonianza di un fatto meraviglioso libera dal male e abbandona a un’inconsueta leggerezza.

Fuori dalle piscine scorre il Gave, dividendo un prato pieno di gente dal fianco della montagna. C’è sempre un calore che non mi spiego. Nasce forse dalla tenerezza di questi continui prodigi che avvengono mentre a casa lavoriamo, camminiamo, dimentichiamo, e avvengono ogni momento, indicando poco più di un rigagnolo che non si estingue. Forse è la via lungo cui scorre la tenerezza di Dio. Il fine non è sciogliere tumori, raddrizzare arti o ricostruire i nostri corpi. È solo indurre all’amore.

Foto: wikipedia.it

Benvenuti al Nord (della Francia)

Scogliere bianchissime, borghi medievali e tante testimonianze dei due conflitti mondiali

Qualcuno ricorderà lo spassoso film Giù al Nord, uscito ormai dieci anni fa. La storia racconta di un certo Philippe Abrams, direttore delle poste francesi in una cittadina della Provenza, che viene spedito per punizione nel profondo nord del Paese, in un luogo di nome Bergues. Pare di capire che per un Francese medio, soprattutto uno di quelli che vivono a due passi dal caldo Mediterraneo, finire là sopra sia come essere mandati in esilio sul Mar Caspio ai tempi dell’Impero Romano. Già durante il viaggio, tutti quelli a cui Abrams confida la sua destinazione mostrano visi trasudanti cristiana pietà.

Io ci sono stato in questa sconosciuta Bergues. C’era un bel sole, ma forse perché si parla di agosto. Mi è sembrata graziosa, col suo tratto di mura, un campanile alto un chilometro, tanto verde e i suggestivi resti di un’abbazia, devastata durante la Rivoluzione. Sicuramente un luogo tranquillo in una Regione altrettanto pacifica, che tuttavia mi sento di consigliare a tutti i viaggiatori in cerca di destinazioni poco battute e a caccia di sorprese.

Siamo in quella che si chiama Nord-Pas-de-Calais-Picardie. A sinistra trovate la Normandia, a destra il Belgio. Dovrebbero venire in questa zona, in primis, gli appassionati di storia e turismo “bellico”. Che di solito vanno appunto di fianco, in Normandia, a visitare le spiagge del D-day. In realtà rimangono altrettanti cimeli di guerra lungo i campi di questa Regione, per certi versi ancora più suggestivi perché lasciati al loro destino, lì a sciogliersi senza fretta sotto le intemperie.  Non si contano i vecchi bunker, con le loro interiora metalliche rivolte al cielo. Attorno pascolano tranquille le vacche, su prati color smeraldo dove fioccano i papaveri.

C’è tanto vento, in questa terra che si affaccia sul Regno Unito. Dalla costa pare di sfiorare con un dito la grande isola. Tutti conoscono le bianche scogliere di Dover. In effetti si vedono bene, appena oltre il mare, che scintillano candide. Pochi sanno che le scogliere dal lato francese, qui in Nord-Pas-de-Calais-Picardie, sono praticamente identiche. Stesso colore, stessa altezza vertiginosa. Avvicinandosi al confine con la Normandia, il litorale prende il nome di Costa di Alabastro. Le spiagge sono immense, dorate, con basse maree impressionanti.

Sempre parlando di guerra, questa Regione è nota anche per la città di Dunkerque, teatro dell’Operazione Dynamo, quando tra il 27 maggio e il 4 giugno 1940 vennero evacuate le forze britanniche e francesi, incalzate dai Tedeschi. Il tutto è raccontato nel recente film di Christopher Nolan, che si intitola proprio Dunkerque.

Ciò che più rimane nel cuore, oltre al colore dei prati, al mare e alle scogliere, sono i piccoli cimiteri dove riposano migliaia di soldati deceduti nel primo conflitto mondiale. Non hanno l’aspetto maestoso di quelli in Normandia, ma l’aria raccolta di un camposanto di campagna, senza nessuno. Eppure sono curatissimi, pieni di fiori, con le lapidi color alabastro che riportano i nomi di tanti giovani morti 100 anni fa. Le loro storie si perdono, ormai. Eppure capita, in qualcuno di questi cimiteri, di trovare una piccola edicola all’ingresso, con un raccoglitore pieno di fogli. C’è qualcuno che per ogni militare, dov’è stato possibile, ha messo insieme qualche riga. Com’è morto. Dov’era nato. Se aveva figli. Il nome della moglie. Ogni tanto un dettaglio ancora più personale: una nota del carattere, quel che amava fare, il suo mestiere.

Un po’ per ricordare, a 100 anni dalla fine della guerra, l’entità del sacrificio che è stato chiesto a questi giovani. Sacrificio che non è stato domandato alla nostra generazione. Anche per questo, oltre che per assaporare un po’ di silenziosa bellezza, vi invito a salire su, nel Nord della Francia.